











PIANETA SARDEGNA
Vengo in vacanza sull’isola di La Maddalena da più di trent’anni, ma non mi ero mai fermato così tanto. Alla fine, grazie allo smart working, sono qui da più di un mese, una cosa che non era mai successa prima.
E forse, proprio perché ho avuto modo di guardarmi intorno dopo aver cazzeggiato qualche giorno in ferie, per la prima volta mi sono reso conto che ero in un territorio alieno.
Intendiamoci subito: la Sardegna è un posto meraviglioso, è un vero balsamo per i miei occhi di fotografo amatorial-popolare. La natura ha un aspetto preponderante e, se parliamo di località balneari, credo non abbiano eguali al mondo. Inoltre, i suoi abitanti sono naturalmente simpatici: diretti e senza fronzoli, ma sinceri e generosi. Un po’ come il granito che compone la loro isola: se ti ci scontri frontalmente, finirà sempre con un fiotto di sangue che sgorgherà dalle tue ferite. Ma se lo prendi per quello che è, ti accorgerai che tiene il calore del sole e che ti ci puoi costruire una casa indistruttibile.
Ciò non toglie che qui siamo su un altro pianeta, e nemmeno del sistema solare.
Intanto, iniziamo dalle basi: la Sardegna (insieme alla Corsica) è un’intrusa geologica nel territorio italiano. Circa 20 milioni di anni fa, dalla linea costiera che dalla Catalogna spagnola arrivava fino alla Liguria, si staccò una piccola placca di granito che se andò a spasso per il mediterraneo. Circa 7 milioni di anni fa, forse perché si sentiva un po’ stanchina, puntò i piedi e decise di fermarsi nella posizione attuale. E grazie alla sua naturale conformazione, ha acquisito la quasi totale immunità dai terremoti.
Già da uno sguardo su Google Maps capisci che forse hai zoomato per errore su uno dei pianeti che orbitano intorno ad Alpha Centauri. Perché i toponimi non sono leggibili al primo colpo, richiedono uno sforzo di concentrazione, che al confronto le cittadine del Guangdong sono una passeggiata.
Ecco i nomi tipici di alcuni comuni sardi, in ordine crescente di complessità: Uri, Tula, Ossi, Tissi, Muros, Usini, Ozieri, Ittiri, Illorai, Aritzo, Marritza, Tramatza, Cargeghe, S'Archittu, Scupaggiu, Berchidda, Nodigheddu, Surigheddu, Ittireddu, Putifigari, Esporlatu, Bortigiadas, Pompongias, Fordongianus, Escalaplano, Ussaramanna, Berchiddeddu, Maracalagonis e Tresnuraghes.
Ma l’insuperato capolavoro rimane Gonnosfanadiga. Mi sta venendo voglia di prenderci la residenza solo per lo sfizio di mettere in difficoltò il prossimo operatore telefonico che mi chiederà dove abito.
Nonostante il nome così sfigato, il comune ha un suo sito internet: www.comunegonnosfanadiga.gov.it
Avete presente il famoso scioglilingua “se l’arcivescovo di Costantinopoli si disarcivescovisco-stantinopolizzasse…”? Provate a cambiarlo in “se l’arcivescovo di Gonnosfanadiga si disarcive-scovisgonnosfanadigazzasse…”, e poi ne riparliamo.
Qui siamo burocraticamente in Italia, ma mica poi tanto. Qui l’appartenenza italiana è un sentimento secondario, di serie B. Il sardo quadratico medio ragiona così: se mi avanza del tempo, penso all’Italia, altrimenti mi concentro sul blocco di granito sul quale sono appollaiato.
A tal proposito, vorrei raccontare un simpatico aneddoto di alcuni anni fa che illustra l’eccezionale campanilismo sardo. Mi trovavo con la famiglia sulla sperduta isola di Texel, dell’arcipelago olandese delle isole Frisone. Alloggiavamo nell’enorme mansarda di un bellissimo chalet di legno del porticciolo locale, una delle più belle sistemazioni nelle quali io sia stato. Con la nostra italica ingenuità, verso le 21 scendemmo per cenare al ristorante sottostante, ignorando che i cuochi dei popoli nordici a quell’ora sono nel pieno della fase REM del loro meritato riposo. Quando ci rendemmo conto che oltre a qualche birra e noccioline non avremmo ottenuto molto, ci precipitammo nel piccolo paesino di Den Burg, dove l’insegna di una pizzeria ci sembrò quella che indicava dove fosse il Sacro Graal. Una volta dentro, venimmo notati dal proprietario del locale, che si avvicinò a noi e ci apostrofò in perfetto italiano: “Buonasera, siete italiani?”. Ingenuamente, io gli risposi: “Certo! Anche lei è italiano?”. E lui: “No, sono sardo”. Ancora oggi, a distanza di anni, reputo che in quella situazione io abbia stabilito il mio record di autocontrollo, perché quella sera barattai l’unica chance di riuscire a sfamare me e la mia famiglia con la voglia di rispondergli “ma vaffanculo”.
Lo sapevate che in Sardegna non esiste il metano? Anche nelle cittadine più grandi, esistono le soluzioni più disparate per risolvere quello che noi continentali riteniamo scontato. La maggior parte dei sardi per farsi la doccia produce l’acqua calda con l’anacronistico scaldabagno, per cucinare usa le bombole e per riscaldarsi si è organizzato con i bomboloni GPL, spesso condivisi con altri utenti. Ci sono poi soluzioni locali di reti di distribuzione del GPL, ed addirittura vengono proposti allacci ad impianti di “aria propanata”, ovvero una miscela di GPL ed aria. In pratica, un gas annacquato, come il Tavernello. Qui, in alcune delle aree più popolose, il metano di città dovrebbe essere in dirittura di arrivo, ma ormai viene percepito come una chimera, non sono in tanti a crederci. E infatti, in tutta la Sardegna non esiste un solo distributore di metano per auto. Per GPL sì, esiste una rete discretamente diffusa, ma qui in Sardegna non si vende nemmeno una macchina a metano. Tipicamente, il proprietario di un’auto a metano che viene in vacanza in Sardegna, prima di imbarcarsi fa il pieno sul continente. Poi sbarca su questa piattaforma di granito e durante la vacanza bestemmia ogni volta che fa il pieno.
Duranti le mie notti insonni, ho notato un’altra stranezza sarda abbastanza macabra, che riguarda l’edizione della mezzanotte del TG3 Regionale. Avete presente quando all’interno di un programma TV vengono ospitate le rubriche “la ricetta del giorno”, “l’intervista del giorno” o “la notizia del giorno”? Bene: sappiate che all’interno dell’edizione regionale notturna del TG3 Sardegna viene ospitata la simpatica rubrica “l’incidente stradale del giorno”. Non c’è un incidente occorso sulle strade sarde che possa sfuggire ai cronisti della redazione regionale, che confezionano servizi accompagnati sempre dalle riprese notturne sul posto, con le telecamere che indugiano sulle autovetture ridotte a rottami, perquisendole con le luci artificiali nella vana ricerca di cadaveri penzolanti. I quali, ovviamente, sono già stati rimossi, ma vi assicuro che inquadrare delle autovetture distrutte, cappottate ed in bilico sull’asfalto sul quale scorrono i rivoli di acqua del radiatore e di olio del motore, fa sempre un certo effetto. È inutile aggiungere che gli onori della cronaca siano riservati solo agli incidenti mortali, meglio se multipli. Ehi, tu… pensionato di Macomer… dico a te: se prima, uscendo con la tua macchina dal garage, hai strusciato il muretto condominiale… stai sereno. Non gliene frega un cazzo a nessuno.
Lo sapevate che dal 1536 in Sardegna esiste un’altra forza dell’ordine? È la “Compagnia Barracellare”, una specie di ibridazione tra la Guardia Forestale, la Protezione Civile, i Vigili Urbani, la Guardia di Finanza, La Polizia, i Carabinieri, la Banda Musicale di Paese, la Scuola di Ballo ed il Club del Ricamo Punto a Croce. Wikipedia la descrive così: “Le Compagnie Barracellari sono un'istituzione pubblica di polizia locale, urbana e rurale tipica della Regione Autonoma della Sardegna. L'etimologia del nome barracello ha origine dallo spagnolo barrachel, che ha la stessa origine dell'italiano bargello, in sardo barratzellu/barracellu (che indicava una guardia armata di nomina politica, generalmente campestre).”. In realtà, volendo semplificare, è una sorta di Guardia Forestale / Protezione Civile. Ma esiste solo qui, e quando li vedi ti sembra di stare in un’altra nazione. Perché hanno la loro divisa, i loro distintivi e le loro autovetture (quasi sempre fuoristrada 4x4). L’altra notte ho avuto un incubo: mentre me ne gironzolavo in macchina bighellonando per la Maddalena, venivo fermato da due barracelli. E appena sceso dall’auto, uno di loro mi ha detto “Qui chircat is corrus anzenos bi laxat sos suos“. Ed io, non sapendo cosa dire, ho risposto: “Noio, volevan savuar…”. Fortunatamente mi sono svegliato, altrimenti finiva a mani in faccia.
Qui dal pianeta Sardegna è tutto, passo e chiudo.